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giovedì 21 marzo 2013

CARNI STRAZIATE: VIVERE E MORIRE TRA TORTURE IN ITALIA TROPPI ALLEVAMENTI-INFERNO

Da noi ci si adegua con lentezza alle modeste regole comunitarie per garantire gli animali: 17 milioni galline sono tuttora prigioniere di strutture vietate. Il consumo di carne è enormemente aumentato: si stima che il fabbisogno annuo di proteine animali si aggiri sui 35 kg all'anno: noi abbiamo superato i novanta. Un danno anche per l'ambiente, come spiega Carlo Petrini di Slow Food

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ROMA - "Ma voi, uomini d'oggi, da quale follia e da quale assillo siete spronati ad aver sete di sangue, voi che disponete del necessario con una tale sovrabbondanza?", scrisse Plutarco in uno dei suoi Moralia poco meno di duemila anni fa.
Eppure oggi gli animali terrestri di allevamento (i pesci raddoppierebbero il totale) destinati alla macellazione si quantificano in 70 miliardi, di cui 55 sono polli. Da loro, derivano ogni anno 280 milioni di tonnellate di carne.
Sempre più famelici, i mercati spingono sui grandi numeri attraverso strategie intensive di allevamento e consumo, spazzando via anche l'ultima possibilità di riconoscere che il prodotto è un essere vivente. Ma oltre a rendere atroce la breve esistenza degli animali destinati al mattatoio, la prassi della mega quantità pone pesanti interrogativi circa la salute umana, l'impatto ambientale, una sistematica mancanza di informazione che impedisce di scegliere consapevolmente. Ne è prova recente il scandalo internazionale sulla carne di cavallo, spacciata per manzo in una gamma di prodotti di larga diffusione: qui la fiducia del consumatore si vorrebbe tradita dallo scambio fra specie, quando in realtà dietro a un utilizzo tanto ampio degli equini si accredita con forza l'ipotesi della macellazione clandestina e massiccia di esemplari scartati dallo sport perché anziani o malati, quasi sempre contaminati da farmaci.
Difficile ragionare, quando tutto preme verso un consumo sfrenato e stabulazioni di massimo concentramento. Nel primo Dopoguerra l'italiano medio consumava 18 kg di carne l'anno, oggi è arrivato a 92, cui se ne sommano 23 di pesce, 7 di uova e 100 litri di latte, quando l'eventuale fabbisogno di proteine animali - in condizioni di benessere - si stima in 35 kg complessivi. Le vacche all'ingrasso risalgono agli anni 60, ma la vera accelerazione della zootecnia intensiva si avvia negli anni 80. Attualmente, delle 150mila tonnellate di pesce che si consumano annualmente nel mondo, 65 provengono dall'allevamento intensivo, che a breve raggiungerà il 50% degli affari ittici. Ovunque si assiste a una progressiva scomparsa delle piccole imprese divorate dalle grandi.

Stando a dati Fao, da noi nel 2011 sono stati allevati e macellati 9.321.120 maiali,7.900.020 ovini, 5.832.460 bovini, 300mila cavalli, 365.086 bufali, 24mila asini, 9mila muli, 982.918 capre e 150 milioni di conigli. Nello stesso anno Eurostat ci attribuisce pure 508,8 milioni di polli.

"Ci adeguiamo alle indicazioni della Banca Mondiale, agli interessi delle multinazionali di semi, farmaci e fitofarmaci. Almeno il 74% del pollame mondiale, il 68% delle galline ovaiole e il 43% dei bovini è radunato ormai negli allevamenti intensivi", spiega Enrico Moriconi, dirigente SSN e consulente su etologia e benessere animale. In Italia poi ci si adegua con inaudita lentezza alle modeste regole comunitarie stabilite per garantire gli animali, cosicché buona parte degli allevamenti è fuori regola. Vedi i 13 anni non sufficienti, da noi, ad applicare la normativa che nel 1999 che ha proibito le vecchie gabbie di batteria per le galline ovaiole in favore di soluzioni un po' meno micidiali. Quasi tutti gli stati hanno compiuto sforzi per adeguarsi, tranne l'Italia: dei 20 milioni di galline ancora prigioniere nelle strutture vietate, 17 sono nel Bel Paese e 3 in Grecia. Ma sul rispetto di queste e altre misure, che possono alleviare solo leggermente i patimenti di conigli, mucche da latte, maiali, tacchini e tanti altri animali, si chiude un occhio.

"Ben pochi sanno cosa avvenga negli allevamenti" dicono da Nemesi Animale, gruppo specializzato in dossier informativi e investigazioni: "Documentiamo che la sofferenza è lo standard, mostriamo sguardi tristi e atterriti, contestiamo la comoda idea che gli animali siano oggetti."

"E' vero, sugli adeguamenti delle strutture siamo indietro, ma mettere a norma ha un costo che le aziende non sostengono. Mancano contributi per un piano di sviluppo rurale", dice Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, che indica le erogazioni 2011 alla zootecnia comunitaria da parte del Fondo europeo agricolo di garanzia in 1.141,8 milioni di euro di pagamenti diretti e 1.390,8 milioni di euro di interventi di mercato: "la produzione europea rende però oltre 150 miliardi".

Le imprese godono di altri importanti aiuti: contributi locali, sostegno agli impianti di biogas fatti con i liquami, sovvenzioni ai seminativi - destinati questi ultimi agli animali per il 42% della produzione europea: 13 milioni di tonnellate. E quattro regioni italiane - Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte - fruiscono di una speciale deroga alla direttiva comunitaria che protegge le acque dai nitrati agricoli, benché si stimi che in Pianura Padana si allevi il 65% dei bovini e il 75% dei suini nazionali. "Non esistono più barriere fitosanitarie," lamenta Guidi. "Ci tocca resistere all'ingresso libero di carni da paesi come l'Argentina, mentre importiamo l'80% della soia necessaria al nostro bestiame". Si ovvierà quindi con il contestato ritorno alla somministrazione di farine animali negli allevamenti, a 13 anni dall'allarme mucca pazza. "Siamo contrari", afferma Stefano Masini, responsabile Ambiente e Territorio di Coldiretti. "Bisogna puntare su prodotti migliori e più cari. Al contrario di Francia o Sudamerica abbiamo territori limitati: no alla tendenza ad aumentare i numeri e ridurre i costi".

"Reintrodurre le farine di carne significa riciclare proteine nobili, scarti di macelleria e sangue, che altrimenti andrebbero distrutti. L'Efsa ha espresso pareri che aprono nuovamente, sebbene con cautela, al loro impiego zootecnico", ribatte Umberto Agrimi, direttore del Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS-Istituto superiore di sanità. Riguardo la Bse, dal 2000 a oggi i controlli sui bovini sono andati diminuendo, e pure quelli istituzionali per individuare le sostanze proibite, ormoni e antibiotici, sono irrisori. Si testano 12 polli ogni milione di esemplari uccisi, confidando nelle autocertificazioni aziendali, sulla cui attendibilità bastano le disonestà scoperte sulle quote latte a suscitare sospetti.

"Si continua a parlare di rispetto della legalità, quando ci collochiamo in Europa fra i peggiori trasgressori alle principali norme protezionistiche. Il concetto di qualità del risultato finale viene scisso dalla qualità di vita degli animali. Mentre il loro benessere dovrebbe essere considerato sia in termini fisici che psicologici. Dovrebbero essere liberi dal dolore e nella condizione di esprimere comportamenti naturali", dice Annamaria Pisapia, direttore della sede italiana di Compassion in World Farming, ong fondata nel 1967 da un allevatore inglese intenzionato a promuovere pratiche più rispettose degli animali. "Mi chiedo come i nostri politici possano giustificare tanta inadeguatezza. Riconosciuti esseri senzienti dalla Costituzione Europea gli animali provano gioia, dolore, paura, stress e devono essere trattati con rispetto. E la trasparenza verso il cittadino imporrebbe marchi e certificazioni chiari sui metodi di allevamento di ogni animale o derivato in commercio: è una delle nostre prime richieste". Invece, numeri per il sistema, avvolti dall'ombra gli esemplari da carne scorrono lungo la filiera a loro riservata. Subiscono maltrattamenti terribili e inutili, dalle condizioni di vita nelle stalle fino ai viaggi verso il mattatoio, spesso lunghissimi e crudeli. Spintonati e percossi per scendere dai camion, storditi sommariamente prima di essere fatti a pezzi o scuoiati, persino immersi ancora vigili nell'acqua bollente. Se una sola azienda del Lazio, vicino Latina, dichiara sul proprio sito di macellare e scuoiare fra i 500 e i 700mila capi l'anno, tenendone fino a 15mila insieme nelle stalle di sosta, per "lavorarne" al ritmo di mille all'ora, quale garbo si può ipotizzare nei loro confronti?

"Nei nostri macelli non è così", obietta Davide Calderone, direttore di Assica-Associazione industriali delle carni e dei salumi. Secondo i suoi dati le imprese maggiori macellano tremila suini al giorno: "Gli animali non rimangono mai più di 24 ore nelle stalle di sosta, e c'è l'obbligo di registrare lo stordimento avvenuto: se non fossero immobili, si agiterebbero durante il taglio della giugulare. Gli operai sono quasi tutti stranieri, per gli italiani è diventata manovalanza troppo dura". Dall'Aia-Associazione italiana allevatori confermano: "Anche in stalla, per il 90% lavorano immigrati".

Sofferenza, farmaci, produzione all'eccesso, sono stati individuati anche responsabili di epidemie quali Bse, Sars, Aviaria, Suina, una varietà di batteri killer. Non di rado, i genitori di bambine cui a quattro, cinque anni inizia a svilupparsi il seno, si sentono rispondere dal pediatra di abolire il pollo: come per magia, le fattezze della piccola tornano infantili. Per chi abbia letto The China Study, bestseller frutto della ricerca trentennale di T. Colin Campbell, è lampante la correlazione che può crearsi tra il consumo di proteine di origine animale e patologie degenerative fra cui tumori, diabete, malattie cardiovascolari. Ciò nonostante, per incrementare ancora produzione e consumo di carne, l'UE si avvia a introdurre nella catena alimentare esemplari clonati, mentre l'utente è sollecitato da pubblicità poco realistiche: gioiose mucche da latte - la maggior parte di esse non ha accesso al pascolo e soffre di spaventose mastiti - garruli galletti, oltre a un'armata di programmi tv sulla cucina.

"Basta scansare nervi e grasso, mangiare carne è un processo a 360 gradi" afferma Sergio Capaldo, consulente veterinario di Slow Food, il cui slogan recita "cibo buono e giusto". Qual è allora, verso gli animali, la linea di confine fra giusto e ingiusto? "Eccettuate pratiche estreme, non è facile definirla", risponde il fondatore Carlo Petrini. "Da anni invitiamo a consumare meno carne. Per produrre un chilo di manzo in allevamento intensivo serve un'energia sufficiente a tenere accesa 20 giorni una lampadina da 100 watt, in aggiunta a 15.500 litri d'acqua; si immettono inoltre nell'atmosfera 36,4 chili di CO2, la stessa prodotta da un'auto media per percorrere 250 chilometri".

La carne rimane in ogni caso un alimento riservato al nord industriale del pianeta, mentre un miliardo e mezzo di persone non vi ha accesso. Per nutrire gli animali si usa più del il 50% della produzione agricola planetaria, che da sé sfamerebbe i paesi poveri. Gli allevamenti intensivi inaridiscono il territorio e, con aggressivi pompaggi, provocano cunei salini sulle coste (in Italia la compromissione di falde dolci con acqua di mare interessa 450mila ettari); esalano gas serra, inquinano terra, corsi e bacini con liquami e escrementi pregni di sostanze tossiche.

Ma tornando all'oggetto del business, gli animali, "nel momento in l'uomo dispone della loro esistenza, è arduo parlare di benessere. Speriamo in un passo indietro, numeri contenuti e condizioni migliori", conclude Enrico Moriconi. "Chiediamo una scelta, non essere più complici di tanto orrore", aggiungono da Animal Equality, attivisti noti soprattutto per i filmati rivelatori sulla mattanza dei tonni in Sardegna o le fabbriche viventi di foie gras: "ma se informando otteniamo piccoli progressi, è già qualcosa". Recita una famosa massima di Tolstoj: "Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani". Lui lo diventò nel 1875, sia perché la carne era un alimento inaccessibile ai suoi contadini, sia persuaso dalla possibilità di stare al mondo senza sacrificare nessun altro.

(inchieste.repubblica.it)

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