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venerdì 29 marzo 2013

No COISP

martedì 26 marzo 2013

Omaggio a Stanley Kubrick






Omaggio a Stanley Kubrick

Una filmografia animata delle opere del regista Stanley Kubrick, da Fear and Desire del 1953 a Eyes Wide Shut del 1999.

Marijuana, sentenza del tribunale di Ferrara

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/21/marijuana-sentenza-storica-a-ferrara-coltivarla-a-fini-personali-non-e-reato/538011/

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Non è reato coltivare marijuana a uso personale. Segna un precedente nella letteratura giuridica italiana la sentenza emessa ieri dal giudice Franco Attinà del tribunale di Ferrara. In aula si sono presentati come imputati due giovani arrestati dai carabinieri due settimane fa (vai all’articolo). Nella loro abitazione erano state trovate quattro piante e otto grammi di sostanza stupefacente.

In sede di arringa, in rito abbreviato, il loro difensore, Carlo Alberto Zaina, del foro di Ravenna, ha sollevato una questione di legittimità per quanto concerne l’art. 73 della normativa in materia di stupefacenti, la coltivazione di stupefacenti. Nel caso specifico in sede di indagini era già stata esclusa la detenzione finalizzata alla cessione a terzi ed era chiaro che la produzione di marijuana era destinata esclusivamente all’uso personale.

A questo punto l’avvocato Zaina ha fatto notare come l’articolo in questione possa essere “sospettato di anticostituzionalità nel momento in cui equipara inopinatamente derivati della cannabis, oppiacei e cocaina”. Esiste infatti una normativa del Consiglio d’Europa che dice in astratto che “non si possono equiparare droghe pesanti e droghe leggere. Urge insomma una differenziazione”. Identica questione di legittimità costituzionale è già stata sollevata dalla Corte d’Appello di Roma e sarà presto al vaglio della Corte Costituzionale.

Viene poi in aiuto dei ‘coltivatori diretti’ una decisione del Consiglio d’Europa, la numero 757/gai del 2004, il “testo sacro” a livello comunitario in materia di stupefacenti: “sono punite tutte le condotte – riassume il legale – concernenti gli stupefacenti, salvo quelle che vedono un uso esclusivamente personale, laddove lo Stato ne ammetta l’uso personale, come l’Italia. Tra queste condotte c’è la coltivazione della cannabis. E in questo caso è provato l’uso personale e gli 8 grami ritrovati in casa degli imputati derivano da questa produzione fai da te”.

Zaina va a toccare poi un aspetto ‘civile’ della norma, nel momento in cui punisce la coltivazione: “la ratio della legge è evitare l’uso e il commercio di stupefacenti, in questo caso c’è una conformità allo spirito della legge, visto che si evita di alimentare le mafie. Quindi se la coltivazione è a uso personale non vedo perché punirla”.

Motivazioni accolte dal giudice che è andato anche oltre. Anziché sospendere il giudizio e rinviare il motivo di legittimità alla Corte Costituzionale, è entrato direttamente nel merito, assolvendo gli imputati perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

domenica 24 marzo 2013

VIVERE SENZA LAVORO - GUSTAVO ESTEVA

Questo articolo di Gustavo Esteva apparso su La Jornada di lunedì scorso e solertemente tradotto dagli amici di Comune-info ci sembra di particolare interesse.
Nel corso di un tour in Italia che toccherà Venezia (4 aprile), Torino (5 e 7 aprile), Val di Susa (6 e 7 mattina), Milano (8 aprile), Padova (9 aprile), Bologna (10 aprile), Lucca (11 aprile), Firenze (12 aprile), Roma (13 e 14 aprile) Gustavo Esteva avrà una serie di incontri pubblici con organizzazioni e scuole.



VIVERE SENZA LAVORO
GUSTAVO ESTEVA

22 marzo 2013

La peggiore delle crisi è quella dell’immaginazione. Generalmente, perfino chi perde un lavoro salariato che umilia la sua dignità, non riesce a pensare a nulla che vada oltre la necessità di «conservare» la propria sopravvivenza. La crisi del sistema sottopone l’enorme massa di persone che vive senza un lavoro salariato – e non può aspettare di trovarne uno – a un inedito e violento attacco ai mezzi di sussistenza. Il sistema che ci domina, per riprodursi, ha nuovi bisogni: avvelenare l’acqua (con le miniere in Perù), sterminare i pesci (con l’eolico in Messico) e varare altre attività vandaliche necessarie alla costruzione di mega-impianti e grandi opere (contro le quali si muovono diversi movimenti territoriali). I «senza lavoro», allenati a inventare percorsi nuovi e (fr)agili per procurarsi da vivere, non hanno nulla da conservare, sono costretti a creare nuove forme di resistenza

In tutto il mondo, e particolarmente in Europa e in America Latina, i lavoratori salariati protestano nelle strade. A milioni. Chiedono che gli sia restituito ciò che hanno appena finito di togliergli e che non gli sia tolto altro. Chiedono lavoro. Riescono a ottenere, qui e là, il cambiamento di qualche funzionario, oppure a limare gli spigoli più acuti alle politiche neoliberiste, come qualche volta ha proposto López Obrador (il candidato progressista messicano sconfitto nelle ultime «presidenziali», ndt). Non ce la fanno, tuttavia, ad andare oltre questo.
Il loro messaggio è chiaro. C’è qualcosa di peggiore che essere sfruttato: non essere sfruttato. Esigere lavoro significa chiedere la restituzione delle proprie catene. Dobbiamo cercare di comprendere, tuttavia, l’animo conservatore di tanti lavoratori. Non è che siano diventati improvvisamente reazionari. È che non hanno scelta: senza lavoro non possono sopravvivere e molti patiscono la peggiore delle nostre crisi, quella dell’immaginazione. Non riescono a immaginare un altro senso della lotta attuale.
Tuttavia, queste persone non stanno avendo successo nemmeno in questo obiettivo di pura sopravvivenza. I governi hanno imparato a non far caso alla gente… e non sanno come muoversi, dentro il loro limite mentale, politico e pratico. Per questo c’è bisogno di varcare quel limite; e siccome non accade arriba (in alto), bisogna farlo abajo (in basso). È esattamente quello che stanno facendo milioni di persone, ovunque. Non possono continuare ad aspettare.
Nelle loro file ci sono, prima di tutto, coloro che non hanno mai avuto un lavoro e non nutrono alcuna speranza di conseguirne uno. Essi non hanno altra opzione pratica che quella di vivere senza lavoro, facendo la loro vita.
Il gruppo più numeroso di questo settore è quello di chi lavora «in proprio», senza rendere conto a un padrone. Queste persone hanno alcuni mezzi o abilità che gli permettono di agire con indipendenza. Occasionalmente, poi, s’impiegano qui e là, quando capita qualche lavoretto temporaneo. In questa fascia sociale, si trovano anche i migranti, che a volte vanno via per una stagione dai luoghi in cui risiedono, aiutano la loro famiglia e la loro posizione nella comunità con le rimesse, e poi tornano a casa.
È un settore immensamente eterogeneo ed è il più grande della popolazione che vive in America Latina. Ne fanno parte i contadini e quelli che qualcuno continua a chiamare i «marginali» urbani, sebbene, ben lontani dal restare «al margine», si costituiscono sempre più come il centro della vita sociale.
Molte persone tra quelle che possiamo collocare in questa parte della società non se la passano tanto male quanto alcuni lavoratori che sono rimasti senza impiego. Sanno sopravvivere da sé e la crisi è sempre stata il loro contesto di vita, del quale fa parte dunque anche la lotta. Per alcuni di loro è un atto quotidiano inevitabile: lottare con la polizia, con l’ispettorato, con tutte le strutture di potere che li vedono come una minaccia o una patologia. Per altri è come l’aria, come respirare, non riescono a immaginare la vita in un altro modo.
Di certo, alcuni non se la passano male quanto i disoccupati, ma sarebbe da irresponsabili dire che stanno bene. Le crisi che patiamo causano deterioramento per tutti. Per loro, ciò di cui si risente maggiormente è il salto indietro del capitale. Di fronte all’impossibilità di continuare ad accumulare rapporti di produzione nell’economia reale, che nessuno riesce a resuscitare, il capitale intensifica le forme di accumulazione per esproprio che non aveva mai abbandonato. Quello che questo settore patisce, più degli altri, è l’assalto brutale ai suoi mezzi di sussistenza, come ai tempi della recinzione degli ambiti di comunità che fondò il capitalismo.
I governi «progressisti» dell’America Latina, e perfino quelli che si cimentano con il socialismo del secolo XXI, appoggiano questo assalto al settore informale. Come ha spiegato García Linera, il vicepresidente della Bolivia, quando è venuto da queste parti (in Messico, ndt), loro si mantengono nel recinto della struttura formale dello sfruttamento, pubblico o privato, cosa che giustificano con il fatto che redistribuiscono l’«eccedenza», che non hanno il coraggio di chiamare plusvalore, attraverso i programmi sociali. Oppure, come ha detto Correa (il presidente progressista dell’Ecuador, ndt ), nel cercare di giustificare l’estrattivismo: Marx non ha detto nulla contro le miniere. È vero. Ha parlato, però, forte chiaro contro lo sfruttamento, ha parlato dell’accumulazione originaria e dell’esproprio. Di questo si tratta oggi.
Coloro che attualmente difendono il loro territorio dalle imprese minerarie, da quelle dell’energia eolica, dai mega-progetti e così via, non sono neo-luddisti e nemmeno vogliono andare a marcia indietro nella storia. Affrontano con lucidità la guerra contro la sussistenza, contro l’autonomia, contro la vita stessa, una guerra che si dispiega in uno stile che ha un taglio sempre più coloniale.
Nel farlo, quelli che difendono i territori non vogliono solo conservare quel che hanno. Sanno che la sola maniera efficace per resistere è creare qualcosa di nuovo, aprirsi a una nuova società, occuparsi seriamente di un cambiamento radicale. A differenza dei lavoratori salariati, non c’è in loro un animo conservatore. Essi sanno che soltanto un cambiamento radicale potrà fermare l’orrore che è in corso. E lo stanno facendo.



Questo articolo è uscito sul quotidiano messicano La Jornada (che ringraziamo per la gentile concessione) del 18 marzo 2013 con il titolo «Escapar del conservadurismo».

Via Federico Aldrovandi



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Mi piacerebbe che il Sindaco prendesse spunto da questo gesto.
Con l'occasione, sarebbe bene che sia ripiantassero gli alberi spudoratamente tagliati in via Ippodromo, facendola diventare un prolungamento del parcheggio che si trova dall'altro lato di via Bologna... Una via di massacri. Verde, ombreggiata e silenziosa nel 2001...ora un inferno di memoria e di macchine.

Come formattare correttamente

La formattazione del disco può avvenire direttamente dall’interno di Windows in esecuzione oppure nel corso della procedura di installazione ex novo di Windows.

Nel primo caso è possibile formattare qualunque disco tranne, evidentemente, la partizione di sistema attiva, essendo tenuta impegnata dall’esecuzione di Windows.

Se questa è l’esigenza, l’unica cosa da fare è uscire da Windows e formattare l’hard disk di sistema o avviando il PC da un sempre più raro floppy di avvio MSDOS, o da un CD ROM con altro sistema operativo avviabile (come Linux), o semplicemente avviando dal disco di installazione di Windows.

In quest’ultimo caso, la procedura d’installazione chiederà se si desideri installare il sistema operativo e successivamente sarà richiesto se si desideri una installazione nuova oppure una “riparazione” di una installazione preesistente.

Infine sarà mostrato un elenco di partizioni, con la richiesta di indicare su quale di esse installare, ma anche con la possibilità di eliminare o creare partizioni prima di procedere con l’installazione.

Assicurandosi di avere prima salvato tutti i dati necessari da ogni partizione presente, e volendo effettuare un’installazione “pulita” di Windows, in questa fase è possibile cancellare tutte le partizioni presenti (utilizzando i tasti indicati dalla procedura d’installazione e confermando ogni operazione), poi procedere richiedendo a Windows di installarsi utilizzando automaticamente tutto lo spazio libero disponibile.

Windows proporrà uno schema di partizionamento ottimale e procederà. In alternativa, anche a seconda delle opzioni della procedura d’installazione della versione di Windows in oggetto, è possibile creare manualmente una partizione grande come l’intero disco e indicare esplicitamente a Windows di installare in quella partizione.

Viene poi, generalmente, richiesto se formattare la partizione, in modo rapido o normale e (a seconda dei casi) con quale tipo di file system. Per PC moderni con dischi di grandi dimensioni correttamente riconosciuti dal BIOS è consigliabile scegliere (se disponibile) NTFS e non FAT32, mentre la formattazione rapida dovrebbe essere scelta solo quando si è ragionevolmente certi che l’hard disk non abbia difetti, altrimenti è bene consentire la formattazione completa, che provvederà anche a una scansione dei settori.

Dopo queste operazioni partirà l’installazione di Windows. Al termine si raccomanda di effettuare immediatamente una o più “passate” di Windows Update fino ad avere un sistema completamente protetto e aggiornato.

Infine, raggiunta questa situazione, è una saggia idea catturare l’immagine dell’hard disk con una utility come Acronis True Image o MaxBlast che consenta di ripristinare il PC a questa condizione in pochi minuti.

sabato 23 marzo 2013

Rai Tre Prima della prima - Martedì 26 marzo 2013

Rai Tre Prima della prima - Martedì 26 marzo 2013

giovedì 21 marzo 2013

CARNI STRAZIATE: VIVERE E MORIRE TRA TORTURE IN ITALIA TROPPI ALLEVAMENTI-INFERNO

Da noi ci si adegua con lentezza alle modeste regole comunitarie per garantire gli animali: 17 milioni galline sono tuttora prigioniere di strutture vietate. Il consumo di carne è enormemente aumentato: si stima che il fabbisogno annuo di proteine animali si aggiri sui 35 kg all'anno: noi abbiamo superato i novanta. Un danno anche per l'ambiente, come spiega Carlo Petrini di Slow Food

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ROMA - "Ma voi, uomini d'oggi, da quale follia e da quale assillo siete spronati ad aver sete di sangue, voi che disponete del necessario con una tale sovrabbondanza?", scrisse Plutarco in uno dei suoi Moralia poco meno di duemila anni fa.
Eppure oggi gli animali terrestri di allevamento (i pesci raddoppierebbero il totale) destinati alla macellazione si quantificano in 70 miliardi, di cui 55 sono polli. Da loro, derivano ogni anno 280 milioni di tonnellate di carne.
Sempre più famelici, i mercati spingono sui grandi numeri attraverso strategie intensive di allevamento e consumo, spazzando via anche l'ultima possibilità di riconoscere che il prodotto è un essere vivente. Ma oltre a rendere atroce la breve esistenza degli animali destinati al mattatoio, la prassi della mega quantità pone pesanti interrogativi circa la salute umana, l'impatto ambientale, una sistematica mancanza di informazione che impedisce di scegliere consapevolmente. Ne è prova recente il scandalo internazionale sulla carne di cavallo, spacciata per manzo in una gamma di prodotti di larga diffusione: qui la fiducia del consumatore si vorrebbe tradita dallo scambio fra specie, quando in realtà dietro a un utilizzo tanto ampio degli equini si accredita con forza l'ipotesi della macellazione clandestina e massiccia di esemplari scartati dallo sport perché anziani o malati, quasi sempre contaminati da farmaci.
Difficile ragionare, quando tutto preme verso un consumo sfrenato e stabulazioni di massimo concentramento. Nel primo Dopoguerra l'italiano medio consumava 18 kg di carne l'anno, oggi è arrivato a 92, cui se ne sommano 23 di pesce, 7 di uova e 100 litri di latte, quando l'eventuale fabbisogno di proteine animali - in condizioni di benessere - si stima in 35 kg complessivi. Le vacche all'ingrasso risalgono agli anni 60, ma la vera accelerazione della zootecnia intensiva si avvia negli anni 80. Attualmente, delle 150mila tonnellate di pesce che si consumano annualmente nel mondo, 65 provengono dall'allevamento intensivo, che a breve raggiungerà il 50% degli affari ittici. Ovunque si assiste a una progressiva scomparsa delle piccole imprese divorate dalle grandi.

Stando a dati Fao, da noi nel 2011 sono stati allevati e macellati 9.321.120 maiali,7.900.020 ovini, 5.832.460 bovini, 300mila cavalli, 365.086 bufali, 24mila asini, 9mila muli, 982.918 capre e 150 milioni di conigli. Nello stesso anno Eurostat ci attribuisce pure 508,8 milioni di polli.

"Ci adeguiamo alle indicazioni della Banca Mondiale, agli interessi delle multinazionali di semi, farmaci e fitofarmaci. Almeno il 74% del pollame mondiale, il 68% delle galline ovaiole e il 43% dei bovini è radunato ormai negli allevamenti intensivi", spiega Enrico Moriconi, dirigente SSN e consulente su etologia e benessere animale. In Italia poi ci si adegua con inaudita lentezza alle modeste regole comunitarie stabilite per garantire gli animali, cosicché buona parte degli allevamenti è fuori regola. Vedi i 13 anni non sufficienti, da noi, ad applicare la normativa che nel 1999 che ha proibito le vecchie gabbie di batteria per le galline ovaiole in favore di soluzioni un po' meno micidiali. Quasi tutti gli stati hanno compiuto sforzi per adeguarsi, tranne l'Italia: dei 20 milioni di galline ancora prigioniere nelle strutture vietate, 17 sono nel Bel Paese e 3 in Grecia. Ma sul rispetto di queste e altre misure, che possono alleviare solo leggermente i patimenti di conigli, mucche da latte, maiali, tacchini e tanti altri animali, si chiude un occhio.

"Ben pochi sanno cosa avvenga negli allevamenti" dicono da Nemesi Animale, gruppo specializzato in dossier informativi e investigazioni: "Documentiamo che la sofferenza è lo standard, mostriamo sguardi tristi e atterriti, contestiamo la comoda idea che gli animali siano oggetti."

"E' vero, sugli adeguamenti delle strutture siamo indietro, ma mettere a norma ha un costo che le aziende non sostengono. Mancano contributi per un piano di sviluppo rurale", dice Mario Guidi, presidente di Confagricoltura, che indica le erogazioni 2011 alla zootecnia comunitaria da parte del Fondo europeo agricolo di garanzia in 1.141,8 milioni di euro di pagamenti diretti e 1.390,8 milioni di euro di interventi di mercato: "la produzione europea rende però oltre 150 miliardi".

Le imprese godono di altri importanti aiuti: contributi locali, sostegno agli impianti di biogas fatti con i liquami, sovvenzioni ai seminativi - destinati questi ultimi agli animali per il 42% della produzione europea: 13 milioni di tonnellate. E quattro regioni italiane - Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Piemonte - fruiscono di una speciale deroga alla direttiva comunitaria che protegge le acque dai nitrati agricoli, benché si stimi che in Pianura Padana si allevi il 65% dei bovini e il 75% dei suini nazionali. "Non esistono più barriere fitosanitarie," lamenta Guidi. "Ci tocca resistere all'ingresso libero di carni da paesi come l'Argentina, mentre importiamo l'80% della soia necessaria al nostro bestiame". Si ovvierà quindi con il contestato ritorno alla somministrazione di farine animali negli allevamenti, a 13 anni dall'allarme mucca pazza. "Siamo contrari", afferma Stefano Masini, responsabile Ambiente e Territorio di Coldiretti. "Bisogna puntare su prodotti migliori e più cari. Al contrario di Francia o Sudamerica abbiamo territori limitati: no alla tendenza ad aumentare i numeri e ridurre i costi".

"Reintrodurre le farine di carne significa riciclare proteine nobili, scarti di macelleria e sangue, che altrimenti andrebbero distrutti. L'Efsa ha espresso pareri che aprono nuovamente, sebbene con cautela, al loro impiego zootecnico", ribatte Umberto Agrimi, direttore del Dipartimento di Sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS-Istituto superiore di sanità. Riguardo la Bse, dal 2000 a oggi i controlli sui bovini sono andati diminuendo, e pure quelli istituzionali per individuare le sostanze proibite, ormoni e antibiotici, sono irrisori. Si testano 12 polli ogni milione di esemplari uccisi, confidando nelle autocertificazioni aziendali, sulla cui attendibilità bastano le disonestà scoperte sulle quote latte a suscitare sospetti.

"Si continua a parlare di rispetto della legalità, quando ci collochiamo in Europa fra i peggiori trasgressori alle principali norme protezionistiche. Il concetto di qualità del risultato finale viene scisso dalla qualità di vita degli animali. Mentre il loro benessere dovrebbe essere considerato sia in termini fisici che psicologici. Dovrebbero essere liberi dal dolore e nella condizione di esprimere comportamenti naturali", dice Annamaria Pisapia, direttore della sede italiana di Compassion in World Farming, ong fondata nel 1967 da un allevatore inglese intenzionato a promuovere pratiche più rispettose degli animali. "Mi chiedo come i nostri politici possano giustificare tanta inadeguatezza. Riconosciuti esseri senzienti dalla Costituzione Europea gli animali provano gioia, dolore, paura, stress e devono essere trattati con rispetto. E la trasparenza verso il cittadino imporrebbe marchi e certificazioni chiari sui metodi di allevamento di ogni animale o derivato in commercio: è una delle nostre prime richieste". Invece, numeri per il sistema, avvolti dall'ombra gli esemplari da carne scorrono lungo la filiera a loro riservata. Subiscono maltrattamenti terribili e inutili, dalle condizioni di vita nelle stalle fino ai viaggi verso il mattatoio, spesso lunghissimi e crudeli. Spintonati e percossi per scendere dai camion, storditi sommariamente prima di essere fatti a pezzi o scuoiati, persino immersi ancora vigili nell'acqua bollente. Se una sola azienda del Lazio, vicino Latina, dichiara sul proprio sito di macellare e scuoiare fra i 500 e i 700mila capi l'anno, tenendone fino a 15mila insieme nelle stalle di sosta, per "lavorarne" al ritmo di mille all'ora, quale garbo si può ipotizzare nei loro confronti?

"Nei nostri macelli non è così", obietta Davide Calderone, direttore di Assica-Associazione industriali delle carni e dei salumi. Secondo i suoi dati le imprese maggiori macellano tremila suini al giorno: "Gli animali non rimangono mai più di 24 ore nelle stalle di sosta, e c'è l'obbligo di registrare lo stordimento avvenuto: se non fossero immobili, si agiterebbero durante il taglio della giugulare. Gli operai sono quasi tutti stranieri, per gli italiani è diventata manovalanza troppo dura". Dall'Aia-Associazione italiana allevatori confermano: "Anche in stalla, per il 90% lavorano immigrati".

Sofferenza, farmaci, produzione all'eccesso, sono stati individuati anche responsabili di epidemie quali Bse, Sars, Aviaria, Suina, una varietà di batteri killer. Non di rado, i genitori di bambine cui a quattro, cinque anni inizia a svilupparsi il seno, si sentono rispondere dal pediatra di abolire il pollo: come per magia, le fattezze della piccola tornano infantili. Per chi abbia letto The China Study, bestseller frutto della ricerca trentennale di T. Colin Campbell, è lampante la correlazione che può crearsi tra il consumo di proteine di origine animale e patologie degenerative fra cui tumori, diabete, malattie cardiovascolari. Ciò nonostante, per incrementare ancora produzione e consumo di carne, l'UE si avvia a introdurre nella catena alimentare esemplari clonati, mentre l'utente è sollecitato da pubblicità poco realistiche: gioiose mucche da latte - la maggior parte di esse non ha accesso al pascolo e soffre di spaventose mastiti - garruli galletti, oltre a un'armata di programmi tv sulla cucina.

"Basta scansare nervi e grasso, mangiare carne è un processo a 360 gradi" afferma Sergio Capaldo, consulente veterinario di Slow Food, il cui slogan recita "cibo buono e giusto". Qual è allora, verso gli animali, la linea di confine fra giusto e ingiusto? "Eccettuate pratiche estreme, non è facile definirla", risponde il fondatore Carlo Petrini. "Da anni invitiamo a consumare meno carne. Per produrre un chilo di manzo in allevamento intensivo serve un'energia sufficiente a tenere accesa 20 giorni una lampadina da 100 watt, in aggiunta a 15.500 litri d'acqua; si immettono inoltre nell'atmosfera 36,4 chili di CO2, la stessa prodotta da un'auto media per percorrere 250 chilometri".

La carne rimane in ogni caso un alimento riservato al nord industriale del pianeta, mentre un miliardo e mezzo di persone non vi ha accesso. Per nutrire gli animali si usa più del il 50% della produzione agricola planetaria, che da sé sfamerebbe i paesi poveri. Gli allevamenti intensivi inaridiscono il territorio e, con aggressivi pompaggi, provocano cunei salini sulle coste (in Italia la compromissione di falde dolci con acqua di mare interessa 450mila ettari); esalano gas serra, inquinano terra, corsi e bacini con liquami e escrementi pregni di sostanze tossiche.

Ma tornando all'oggetto del business, gli animali, "nel momento in l'uomo dispone della loro esistenza, è arduo parlare di benessere. Speriamo in un passo indietro, numeri contenuti e condizioni migliori", conclude Enrico Moriconi. "Chiediamo una scelta, non essere più complici di tanto orrore", aggiungono da Animal Equality, attivisti noti soprattutto per i filmati rivelatori sulla mattanza dei tonni in Sardegna o le fabbriche viventi di foie gras: "ma se informando otteniamo piccoli progressi, è già qualcosa". Recita una famosa massima di Tolstoj: "Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani". Lui lo diventò nel 1875, sia perché la carne era un alimento inaccessibile ai suoi contadini, sia persuaso dalla possibilità di stare al mondo senza sacrificare nessun altro.

(inchieste.repubblica.it)

martedì 19 marzo 2013

Perché i presidenti di Camera e Senato sono così importanti?





Ieri Pietro Grasso e Laura Boldrini sono stati eletti rispettivamente presidenti del Senato e della Camera: la seconda e la terza carica della Repubblica italiana, che per una volta sono state al centro della cronaca e del dibattito politico. Il loro ruolo è quello di rappresentare le rispettive camere, organizzarne i lavori e di assicurarsi che il regolamento venga rispettato. Sembra facile, ma in realtà si tratta di una materia estremamente complicata, fatta di lunghi regolamenti bizantini a cui vanno aggiunti manuali interi dedicati a illustrare la prassi, i precedenti e le tradizioni.
Voto e dibattito
Il ruolo principale e più visibile che hanno i due presidenti delle camere è quello di dirigerne i voti e i dibattiti. Si tratta della funzione che i due presidenti assolvono quando li vediamo, nelle dirette parlamentari, mentre scrutinano i voti, suonano un campanellino, riprendono o addirittura espellono dall’aula parlamentari. Durante i dibattiti i presidenti possono dare la parola, dirigere e moderare la discussione. Quando si tratta di votare, i presidenti possono stabilire l’ordine delle votazioni, chiarire il significato del voto e annunciarne il risultato.
Il lavoro più importante dei presidenti però si svolge – in un certo senso – fuori dall’aula, nei vari organi che fanno parte delle due camere e di cui i due presidenti ricoprono la presidenza. In questi organi vengono decisi i regolamenti, si stabilisce il bilancio delle camere e, soprattutto, viene preparato il calendario dei lavori parlamentari. Si tratta dell’Ufficio di presidenza (che al Senato viene eletto con questo nome per poi diventare il Consiglio di presidenza), della Giunta per il regolamento e della Conferenza dei presidenti di Gruppo.
In tutti questi organi sono fondamentali i gruppi parlamentari che sono – in sostanza – la rappresentanza in parlamento dei partiti politici. La questione dei gruppi parlamentari è particolarmente complessa: ogni camera ha le sue regole, che stabiliscono come possano essere formati e quanti parlamentari siano necessari per avere diritto a formare un gruppo parlamentare. In linea di massima, però, più un partito ha ottenuto voti e quindi parlamentari, più i suoi gruppi parlamentari saranno numerosi (ma non sempre: in alcuni casi la rappresentanza e sulla base di uno per ogni gruppo e quindi non proporzionale). Vediamo nel dettaglio quali sono gli organi in cui i presidenti hanno un ruolo centrale.
Ufficio di presidenza
È composto da diversi deputati o senatori eletti dalle due camere. Si tratta di quattro vicepresidenti – che a turno presiedono la camera in assenza del presidente – tre questori e otto segretari, che aiutano il presidente nelle sue funzioni. All’interno di questo gruppo devono essere rispecchiati tutti i gruppi parlamentari. Quindi, prima della loro elezione, il presidente della Camera o del Senato deve incontrarsi con la Conferenza dei presidenti di gruppo per accordarsi in modo che tutti i gruppi siano sempre presenti con almeno un membro bell’ufficio di presidenza. Nel caso si formino nuovi gruppi, il numero di segretari può essere aumentato per rispecchiare i nuovi gruppi che si sono formati.
L’ufficio di presidenza amministra i vari aspetti della camera, come ad esempio tutte le questioni relative al personale; mette poi insieme il bilancio, che viene approvato dall’assemblea, ripartisce i rimborsi elettorali e si occupa di sanzionare i deputati o i senatori che dovessero turbare l’ordine di una seduta. Qui potete trovare il regolamento dettagliato.
Giunta per il regolamento
È composta da 10 deputati nominati dai presidenti delle due camere e deve rispecchiare – “per quanto possibile”, è scritto nel regolamento – la proporzione tra i gruppi parlamentari. Per rispecchiare questa proporzionalità il presidente può decidere di aumentare il numero dei parlamentari che ne fanno parte. Per la Giunta per il regolamento devono passare tutte le modifiche al regolamento parlamentare. Sempre in Giunta vengono risolte le questione di interpretazione del regolamento. Qui potete trovare il regolamento dettagliato.
Conferenza dei presidenti di gruppo
È composta da tutti i presidenti dei gruppi parlamentari ed è uno degli organi più importanti delle due camere. In sostanza decide sul calendario dei lavori delle due camere, decidendo quando e quali provvedimenti andranno discussi e votati. Il governo è sempre informato di quando la Conferenza viene convocata e può far intervenire un suo membro, in genere il ministro o il sottosegretario per i rapporti con il parlamento. Qui potete trovare il regolamento dettagliato della Camera e qui quello del Senato, che è molto simile e nel quale trovate anche alcune le spiegazioni anche sugli altri due organi.
Consuetudini, prassi e precedenti
I regolamenti di Camera e Senato sono documenti molto lunghi (più di cento pagine) e complessi. Inoltre, i regolamenti scritti vengono integrati da interi manuali dove si ragiona sulla base di consuetudini, della prassi e dei precedenti. Questo fa sì che ci siano delle vere e proprie figure specializzate nel districarsi nei regolamenti parlamentari. I membri del Partito Radicale, quando erano in parlamento, avevano la fama di essere tra i più bravi a sfruttare questi complessi regolamenti.
Sulla base di questa complicata prassi, in genere si ritiene che il lavoro di presidente del Senato sia considerevolmente più facile di quello di presidente della Camera. Il Senato è tradizionalmente più semplice da controllare e i poteri del suo presidente sono molto più diretti e lineari. Il Senato è considerato una camera più facile per il governo – sempre che ci sia una maggioranza – visto che l’ostruzionismo parlamentare – cioè quelle tecniche usate per rallentare i lavori di una camera – sono molto più difficili da mettere in pratica.
Anche se il presidente della Camera ha più potere nello stabilire una materia molto importante come gli ordini del giorno, cioè quello di cui effettivamente si occuperà la Camera in quella giornata, il suo regolamento è complessivamente molto più bizantino e complesso di quello del Senato, dove invece i lavori, tendenzialmente, procedono in maniera più lineare. Questo non vuol dire che ci sia da preoccuparsi per la presidente Boldrini, visto che i presidenti delle due camere dispongono di uno staff tecnico molto preparato su questi regolamenti.
Di solito si dice che una preparazione tecnica non guasti per fare un buon presidente di una camera, ma la cosa più importante è possedere una certa autorevolezza o carisma. Amintore Fanfani, Giovanni Spadolini e Nicola Mancino sono tuttora ricordati da molti come presidenti che tenevano in pugno le camere – e Fanfani in particolare è noto perché imponeva severi regolamenti a proposito della lunghezza delle gonne che impiegate e deputate potevano indossare. Marcello Pera, presidente del Senato durante la XIV legislatura, invece è ricordato come un presidente non troppo carismatico.
Il Presidente Supplente della Repubblica Italiana
Il presidente del Senato possiede un potere particolare garantitogli dalla Costituzione all’articolo 86, dov’è scritto: “Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato”. Questo articolo ha fatto nascere la figura del Presidente Supplente della Repubblica italiana, una qualifica che, in sostanza, assume il presidente del Senato quando il Presidente della Repubblica è in viaggio all’estero.
Dal 1986 il Presidente Supplente della Repubblica italiana può anche fregiarsi di un insegna per il periodo in cui si trova in carica. Si tratta di una quadrato bordato di azzurro con al centro il simbolo della Repubblica. A differenza dell’insegna del Presidente della Repubblica, il fondo è bianco e il simbolo della Repubblica è in argento anziché oro. Questi dettagli del cerimoniale, insieme a molti altri e anche piuttosto minuziosi, furono quasi tutti decisi da Francesco Cossiga quando era presidente del Senato.
L’ordine delle cariche
Nella Repubblica italiana, come è normale nei diversi stati del mondo, le varie cariche dello Stato hanno un ordine di priorità. Questo ordine è stato inizialmente stabilito in maniera provvisoria negli anni Cinquanta e quindi definitivamente regolarizzato nel 2006. Secondo l’ordine delle cariche, il Presidente della Repubblica è al primo posto – in quanto rappresentante della Repubblica italiana. Al secondo posto si trova il Presidente del Senato e al terzo il Presidente della Camera: per questo motivo i due presidenti delle camere sono indicate come seconda e terza carica dello stato.
Il presidente del Consiglio si trova soltanto dopo il presidente della Camera ed è seguito dal presidente della Corte costituzionale. Questo “svantaggio” del presidente del Consiglio rispetto ai presidenti delle camere, nonostante abbia molto più potere di loro, è dovuto al fatto che i presidenti delle camere sono considerati cariche più istituzionali e meno “politiche” del presidente del Consiglio. Questa considerazione risale al fatto che, in teoria, per eleggere i presidenti di Camera e Senato sono richieste ampie maggioranze. Inoltre, fino al primo governo Berlusconi (1994) era usanza concedere una delle due camere al principale partito di opposizione.
In pratica l’ordine di priorità significa che, ad esempio, in una cerimonia ufficiale il presidente della Repubblica siede al centro, con alla destra il presidente del Senato e alla sinistra il presidente della Camera. A destra del presidente del Senato siede quello del Consiglio, mentre alla sinistra di quello della Camere quello della Corte costituzionale.
Nomine
Infine, i due presidenti nominano insieme i componenti di diverse autorità amministrative, come l’autorità garante per la concorrenza e quella per l’editoria e la televisione. Nominano inoltre il consiglio di amministrazione della Rai e quello di presidenza della Corte dei Conti, anche se per prassi consolidata queste nomine hanno sempre rispecchiato i rapporti di forza tra i partiti in Parlamento.

domenica 17 marzo 2013

Blues Houseparty

Toot Blues

Halsted Street USA

A History Of Blues



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giovedì 14 marzo 2013

Robert Plant - Angel Dance

mercoledì 6 marzo 2013

Macbeth - Prima della prima 3/2/13

martedì 5 marzo 2013

Jimi Hendrix- Los Angeles Forum, Inglewood, Ca 25/4//70

sabato 2 marzo 2013

Acoustic Hot Tuna - Good Shepherd - Live at Fur Peace Ranch

venerdì 1 marzo 2013

Jorma Kaukonen - Embryonic Journey Live

Traffic Jam With Jimi Hendrix - A Session






This is the often talked about session that Jimi recorded with the members of Traffic (Steve Winwood's band at the time).
This is an excellent quality soundboard recording from OH BOY...JOIN THE DE LUXE WAY. As the CD arts tells you "This session was
recorded at an unknown place in the late 60's."
A purely instrumental affair, alternately dated as 1968 or 1970, this studio material is among the most intriguing
unreleased pieces of either performer. The lineup is listed as Jimi Hendrix (guitar), Steve Winwood (piano), Chris Wood
(flute), Rick Grech (bass), and Jim Capaldi (drums), but the actual lineup of these recordings is uncertain. Only Hendrix
is identifiable with certainty. The overall sound resembles Traffic, and the piano and flute parts seem particularly
recognizable as Steve and Chris, respectively.
The music on this cd consists of jams that, in contrast to Traffic's usual melodic sensibilities, range from minor key to
almost atonal structure. Some of the magic of the "Voodoo Chile" session is also evident on this recording. The jams sound
basically spontaneous, organized around particular keys with shifting tempos, and lack a distinct song structure. None of
them sound like they were even intended to have vocal parts. For the most part, the piano and drums drive the rhythms while
the guitar and flute solo. The extraordinary aspect of the recording is the complementary interplay between Jimi and Chris.
While Jimi builds upon driving vamps that eventually erupt into molten solos, Chris counterbalances with his usual delicate,
mellowing flute. The result of this collaboration is at least interesting, and sometimes magical. Unlike other Hendrix jam
sessions, Jimi seems to have a lot of respect for Traffic and doesn't fully dominate the proceedings, which makes the
session perhaps unique to both entities.
This bootleg CD consists of three jams of excellent quality studio recordings. The insert states that the session "was
recorded at an unknown place in the late 60's". Credits are Jimi Hendrix (guitar), Chris Wood (flute and saxophone), Jim
Capaldi (drums), and Steve Winwood (organ).

Jimi Hendrix Band of Gypsys Machine gun 1969 Fillmore